Tèssere, verbo transitivo, riporta Treccani:
“intrecciare al telaio i fili della trama con quelli dell’ordito, per fare una tela o altro tessuto”.
Chi tesse, anche con metodi e macchinari moderni, fa incontrare e incrociare fili diversi per lunghezza, consistenza, anche colore. Muovendo da questa riflessione, di “tèssere” è interessante il significato figurativo di comporre, mettere insieme con arte e ordine.
Serve dunque creatività nel tèssere, ma anche metodo, per portare a termine un lavoro bello e ben fatto, con una mano che ha compiuto l’atto di tessitura seguendo un disegno artistico e al contempo attuando un processo, utilizzando le proprie conoscenze e competenze tecniche.
Tèssere, femminile plurale del sostantivo tèssera, il tassello di materiale vario, dimensione e colore che costituisce l’unità di base di un mosaico. Anche qui, torna la combinazione di elementi diversi che, con la valorizzazione delle peculiarità di ciascuno, realizza un disegno che nell’insieme è altro dalla semplice somma o giustapposizione di singole unità.
La tessera però oggi è anche un documento, ufficiale o meno, in ogni caso un identificativo di unicità: c’è tutto di noi nella tessera del codice fiscale, nella patente, nella memoria di una qualunque card commerciale che conserva traccia di ogni nostro acquisto.
Anche in questa accezione, dunque, torniamo all’unione di identità diverse, torniamo alla capacità tutta umana di mettere insieme diversità e di realizzare, attraverso questo gesto – o attraverso una molteplicità di gesti – un disegno più ampio. Torniamo all’incontro fra diversità, ciascuna necessaria nel suo carattere straordinario, ciascuna non più particolare dell’altra.
Ci sono in Italia luoghi di tessitura di identità diverse, centri – fisici, mentali, emotivi, temporali, digitali – dove costantemente si intrecciano relazioni, rapporti, dinamiche di comunità e individui: sono spazi in cui la cultura (di tradizioni, di eredità, di produzione) gioca sempre un ruolo centrale nella costruzione dell’ordito, nell’organizzazione sistemata e creativa delle diverse tessere. Sono borghi d’Italia e aree nelle periferie delle città, sono musei che si relazionano con il territorio, sono cinema con la luce sempre accesa. Sono luoghi di rigenerazione sociale e culturale insieme, centri nodali piccoli e grandi di una rete di relazioni ancora più ampia, che vivono le reti al di fuori di sé come valore aggiunto, si confrontano e collaborano (cito fra tutti, dentro e fuori dai social, l’interessante iniziativa di mappatura dei centri culturali avviata dall’agenzia “cheFare”, e la community social “Geografie culturali” coordinato da Luca Dal Pozzolo).
La diffusione epidemica del coronavirus ha messo in discussione i nostri stili di socialità, le nostre tante tessiture sviluppate nel tempo, ma ciascuno di questi luoghi va guardato con fiducia perché offrirà, o sta già offrendo, nuove vie per il futuro, soluzioni inedite di socialità e di rigenerazione culturale.
A tutti questi centri propulsori di una nuova rivoluzione culturale post-epidemia va data ogni forma di sostegno, risorse e credito, e i bandi che segnaliamo questa settimana (SWITCH di Compagnia San Paolo, Borghi e centri storici del MIBACT e Bando 57 di Fondazione Comunità Milano) sono solo i primi strumenti di una strategia che deve essere ben più ampia.
La sanificazione delle nostre case e delle strade non servirà a nulla se non sapremo sanificare i rapporti sociali, se non sapremo avanzare proposte culturali che ripartano dalla tessitura di relazioni per rispondere alle nuove domande di senso che in queste settimane vanno nascendo in ciascuno di noi.
di Angela D’Arrigo
Founder e General Manager di meetCULTURA