Historically, pandemics have forced humans to break with the past and imagine their world anew. This one is no different. It is a portal, a gateway between one world and the next.
Sono le parole che Arundhati Roy utilizza sul Financial Times per raccontare la pandemia in relazione alle differenti classi sociali in India, rivolgendosi in realtà, soprattutto in queste riflessioni di chiusura, a una dimensione più ampia, parlando di quel mondo nuovo che attendiamo un po’ ovunque.
Del suo articolo mi hanno colpita proprio le parole utilizzate per descrivere la pandemia: un portale, una via di passaggio e di accesso fra un mondo, quello attuale, e il prossimo.
In molti si stanno sforzando a disegnare il nuovo mondo, talvolta con voli pindarici e scenari poco sostenibili, proposte concrete ma senza visione e strategie che non trovano dispiego. Va bene, funziona, funzionerà così: ipotizzare, tentare, sperimentare, fallire e tornare a provare chissà per quanto tempo, assumendo la pratica della ricerca scientifica come processo abituale.
Nel frattempo però saremo lì, nel passaggio. Sulla soglia di un mondo che ci chiude le porte alle spalle e non ancora sull’uscio di quello nuovo. Tanto più superficiale sarà la nostra ricerca di soluzioni, tanto più lunga sarà la permanenza, indefinita e informe, fra un mondo e l’altro e tanto più lontano sarà l’accesso a questo “mondo nuovo”: l’accesso alle cure, al lavoro, alla socialità, alla cultura.
Ecco, i problemi da affrontare già oggi (già da ieri, a dirla tutta) sono i più disparati e urgenti che si possano immaginare, ma in ambito culturale non cambieremo nulla se non ci occuperemo delle difficoltà di accesso alla cultura per gran parte della popolazione.
Accedere alla cultura, nelle sue ampie declinazioni di accesso fisico ai siti, capacità di decodifica e comprensione di linguaggi, accesso a informazioni più o meno complesse, partecipazione ad attività e co-protagonismo nella progettazione, questa è la sfida prioritaria delle organizzazioni culturali di oggi per la costruzione del mondo di domani. Come devono stare in fila i visitatori all’ingresso di un sito archeologico è importante quanto capire come i contenuti culturali possono arrivare all’utente, senza essere più necessariamente una guida cartacea o una app, e come dall’utente torneranno riscontri sull’esperienza vissuta costruendo un dialogo sempre più intenso fra pubblici e istituzioni.
Dopo il tempo del coinvolgimento, forse è arrivato, finalmente, il tempo di una riflessione sulle possibilità e le modalità di accesso, o meglio degli accessi alla cultura. È tempo di analizzare uno a uno questi temi, guardare criticamente alle soluzioni trovate finora e decidere cosa portare di là e cosa lasciare qui, cosa trasformare e cosa ripensare da zero. È tempo di pensare che l’accesso non è necessariamente una via che si fa trovare pronta al pubblico, un percorso univoco e preconfezionato senza alternative, ma è esso stesso un processo – fisico o virtuale o, meglio ancora, un misto di dimensioni – che si snoda insieme, istituzioni culturali e pubblico, in uno scambio di ascolti e raccolti.
di Angela D’Arrigo
Founder e General Manager di meetCULTURA