Entrare in contatto con il pubblico è una delle più grandi sfide che chi si occupa di fruizione culturale deve affrontare, una relazione necessaria e complessa.
L’emergenza che il mondo affronta in questi mesi sta costringendo molti a ripensare questa relazione e a sperimentare strade nuove (per alcuni) per rendere ancora possibile quel contatto. E quando sarà finita l’emergenza?
Saremo ormai tutti così abituati a quel #iorestoacasa che musei, cinema e teatri resteranno vuoti, guardati solo dalla poltrona del salotto?
Se non capiamo la complessità (e l’opportunità) della fruizione culturale, la risposta probabilmente sarà sì.
Ma è su quel “probabilmente” che possiamo giocare la nostra partita perché la situazione che stiamo vivendo credo stia facilitando un processo che comunque avremmo dovuto rivedere.
Oggi, infatti, ci stiamo finalmente chiedendo tutti come arrivare ai nostri pubblici senza darne per scontata la presenza fisica. Fino a ora, invece, spesso abbiamo misurato la nostra efficacia solo guardando al numero di biglietti staccati.
Questo dato è importante, anche da un punto di vista economico, ma la fruizione della cultura non si misura solo con quello.
Per rendere fruibile il nostro patrimonio, qualunque esso sia, è necessario stabilire una connessione “multicanale”: una connessione positiva che è al tempo stesso verbale, emotiva, sensoriale, percettiva e cognitiva.
La brutta notizia è che in molti non lo sanno, ignorano alcuni fattori e ne subiscono le conseguenze.
E per rendere tutto più difficile c’è un ultimo canale: l’interesse.
Solo se si attiva l’interesse di quel particolare pubblico si può parlare davvero di fruizione culturale. In caso contrario, spesso, ci stiamo solo parlando addosso.
Per quanto complessa, però, la relazione con il pubblico ci pone di fronte a una scoperta continua che se sapremo indirizzare verso un obiettivo chiaro ci aiuterà anche in situazioni di crisi come questa. L’obiettivo è quello di traghettare il pubblico dalla situazione del vedere a quella dell’osservare, avvicinarlo alla cultura tanto da renderlo protagonista e non solo spettatore.
Non importa ciò che io so di valere, ma importa quanto il pubblico è consapevole del mio valore. Quanto è necessaria per lui la relazione con me, non il viceversa.
Questa emergenza ha reso possibile una sperimentazione collettiva su questi temi. In alcuni casi si tratta di conferme in altri di vere e proprie sfide. Oggi tutto ciò che fa parte del mondo culturale lo ritroviamo sul web.
Opere da vedere via streaming come fatto dal Mambo di Bologna per l’opera di Ragnar Kjartansson, oggi ancora più potente dalla nostra quarantena.
Collezioni permanenti come quella esposta al Museo Egizio di Torino che porta a conoscere le opere e i professionisti che lavorano dietro le quinte.
Musei come Casa Testori che aldilà delle attività, sta raccontando la propria storia facendone percepire l’attualità.
Orchestre, come l’Orchestra Milano Classica, che ricompone virtualmente i propri elementi per appuntamenti musicali inediti.
Cinema come la Cineteca di Milano che sperimenta la fruizione del proprio patrimonio presso altri pubblici.
Fiere che pensano ad approcci inediti come quello di ART BASEL che a HONG KONG ha realizzato un’edizione digitale dell’evento. Versione di certo limitata ma che resterà anche in futuro come proposta complementare a quella tradizionale.
La cultura ha diversi strumenti per poter affrontare questo difficile momento che, senza mai sminuire gli aspetti economici, possono alleggerire la situazione e fornire inaspettate risorse.
C’è anche un’altra buona notizia: la complessità di cui abbiamo parlato non può essere risolta solo attraverso strumenti digitali. La necessità di contatto con il pubblico è reciproca, il pubblico ha bisogno di quella connessione multilivello di cui si parlava e per questo una volta superata la paura tornerà ad affollare musei e sale, magari con maggiore consapevolezza.
di Arianna Errico
Project Manager di meetCULTURA